Nel 1995 pubblicò la sua storia di bambino ebreo durante la guerra nel libro,
Per violino solo. La mia infanzia nell'Aldiqua 1938-1945 (Bologna: il Mulino) da cui è tratta questa lettera
Aldo Zargani
Basilea
07 Febbraio 1995
Basilea, 7 febbraio 1995
Caro Mario Davide,quando leggerai questa lettera saranno passati molti anni da oggi, giorno del tuo quarto compleanno, ma già adesso, terminato il libro che ho scritto per te, i ricordi hanno cominciato dileguarsi fiochi e e mesti. Raccontare la propria vita è come sdraiarsi sul lettino dello psicanalista, si sa, ed è per merito tuo che nel 1995 si è spenta, almeno spero, la mia guerra psichica contro la Germania del terzo Reich, la guerra dei cinquant’anni. Abbiamo fatto pari, credo che ci sia stato un armistizio fra spettri.
(...)
Questo libro, che tu chiami:
il libro del nonno per me, racconta di come i tuoi bisnonni, Mario ed Eugenia, sono riusciti, dopo anni di vita stentata e di umiliazioni, a salvare la loro vita e la nostra nel periodo finale, di pochi mesi, ma veramente crudele se pensi che la fredda statistica (quella calcolata dopo,ma noi vivevamo “durante”) dice che un ebreo italiano su tre è stato assassinato. E gli ebrei d’Italia furono invidiati come tra i più fortunati d’Europa, dopo quelli di Danimarca e Bulgaria! Nel solo periodo del panico, dalla fine del settembre 1943 allametà del 1944, durante i pochi mesi nei quali si verificarono quasi tutte le catture, l’impressione, a vivere quei giorni minuto per minuto, era che non ci fosse scampo, e che non l’avremmo visto mai quel dopo che pure esisteva, siamo certi, ed era lì checi aspettava da sette anni... Un brutto periodo, credimi.
Si fuggiva senza tanti ragionamenti, come spinti da un automatismo: difendere la bandiera della vita che è vittoriosa da miliardi di anni su questo pianeta, nonostante la superiorità indiscussa delle forze della morte. Per sopravvivere ci sono volute intelligenza, astuzia, prudenza, capacità di adattamento, calma, pazienza e fortuna. Però nessuno di noi avrebbe potuto raccontare quello che gli era accaduto se all’improvviso non fosse apparsa sul campo della lotta per la sopravvivenza l’inattesa pattuglia dei pochi, il battaglione della vita senza bandiere e senza divise per dare aiuto in vagabondi che sbaragliò l’esercito de
Gli indifferenti, Alberto Moravia, ed. Bompiani, 1929, che aveva occupato senza troppi contrasti l’Italia taglia fino al 1943. Io debbo cinquant’anni di esistenza nell’insieme tutt’altro che da buttare, ad alcune persone buone, quasi tutte buffe, alle quali questo libro rende onore. Ho avuto la fortuna di constatare all’inizio della mia vita che c’è chi sopporta il suo prossimo senza chiedersi neppure il perché. La pattuglia del soccorso avuto su di me un effetto strano anzi paradossale: il periodo breve della caccia all’uomo che occupa da solo quasi tutta la mia mente di sessantenne, è rimasto sì il più vigile della mia vita ma è divenuto nel contempo il migliore e il più impianto. Una delle tante contraddizioni ancora da sciogliere, se si pensa che ne ha generata almeno un’altra ben più preoccupante: per colpa dei miei soccorritori io ho acquisito fiducia nel prossimo mio, una fiducia che è diventata fede nell’umanità, suffragata da retaggio dell’ebraismo, e non sono più tanto sicuro che questi sentimenti siano ben riposti...
Fonte: Per violino solo. La mia infanzia nell'Aldiqua 1938-1945 (Bologna: il Mulino) - pag. 223 e segg.