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DAI DIARI DI ELENA BACHI


Elena Bachi
Torino
La religione
15 settembre 1937
Questa mattina la mamma è stata in tempio per la festa di Kippur e siccome papà è nel consiglio della comunità Israelitica, bisogna pur farsi vedere ai riti religiosi. Pare che il rabbino abbia tenuto un bel discorso sui figli, sull'unione della famiglia, sul focolare ebraico, e simili cose che su di leihanno fatto molto colpo, perché me ne ha accennato in modo tale che capissi che proprio io, sua figlia, avevo osato rompere le sacre tradizioni.
In casa della mamma erano osservanti, però a noi non hanno insegnato nulla della nostra religione, benché leisenta una grande differenza con gli altri e voglia che io sposi un ebreo. Io mi arrabbio se parlano male degli Ebrei, in quantoché io lo sono, ma non capisco nessun rito per principio (...) Certo, mi sarebbe più facile sposare uno di noi, che non avràmai prevenzioni contro di me; tuttavia, se pretendesse dei figli allevati nella fede, non dovrebbe fare conto sulla mia persona, perché non ne sarei capace. Sono sicura che se Nick [il ragazzo di cui è innamorata ndr] fosse un israelita la mamma non alluderebbea lui con tanto disprezzo e con un sorriso di superiorità sulle labbra, ma lo troverebbe persino alto di statura, invece di dire che ha una figura meschina. Queste cose mi indignano e non riesco a sopportarle

Le leggi razziali
A luglio andai ad Alassio con mia sorella e famiglia e imparai finalmente a nuotare da sola. Dapprima la bagnina mi passava la cinghia sotto le braccia, poi, al terzo giorno, iniziai a fare qualche bracciata completamente solitaria; purtroppo senza avanzare di un metro ma senza più alcuna paura. E' stata una delle più grandi gioie della mia vita!
(...) Tornammo alla fine di luglio, proprio il 26, data che non dimenticherò mai perché vennero rese pubbliche le "leggi razziali", emesse il giorno prima; In breve tempo, cambiò tutta la nostra vita.

Martedì 27 luglio 1938
Marina è andata questa mattina a Cogne con i nonni, e noi la raggiungeremo presto, non sappiamo ancora quando. Emilio sta, infatti, parlando con papà per la questione dell'antisemitismo, che diventa sempre più grave. Siamo tutti preoccupatissimi! Che anche a noi non succeda di dovercene andare via dal paese, come è capitato agli ebrei tedeschi! Dio, quest'amicizia italo-tedesca! Ho rivisto Gigi, che è stato molto caro con me e mi ha detto che, se ci capitasse di essere mandati via dall'Italia, lui mi vorrebbe con sé e non mi lascerebbe partire con gli altri. Io non credo che si arriverà a questi eccessi. Chissà mai però che cosa ci riserva l'avvenire.
Ad agosto andammo a Cogne, dove c'erano molti ebrei come noi e si parlava della campagna antisemita l'umore era da funerale per tutti. Stavo con Primo Levi, che avevo già conosciuto a Bardonecchia, e con Arrigo Olivetti, che avevo già conosciuto al ballo di "Purim" (...) cercavamo di tenerci su tra di noi, giocando a tennis su campi orridi e accecanti di luce e facendo passeggiate sui sentieri di montagna.

1939
In quel periodoio stavo molto male di nervi e mi sentivo sola; tutte le amiche della mia età erano già sposate ed anche Emi e Cilina stavano per farlo. Per di più, in casa nostra la situazione precipitava: Ormai i liberi professionisti potevano esercitare soltanto con altri ebrei; Perciò papà, che aveva lo studio da commercialista, dovette chiudere l'ufficio.

La guerra –1942-1943
Mio padre aveva preso accordi riguardo il mio matrimonio con i genitori di Roberto [Levi] ed insieme ne avevano deciso la data per il mese di febbraio del 1943. La mia dote sarebbe servita per mantenerci entrambi, dato che il mio futuro marito non poteva lavorare, né completare gli studi. Terminato il viaggio di nozze a Roma, saremmo andati ad Orta, dove la sua famiglia affittava ogni anno una villetta per trascorrervi le vacanze.
(...) Quando venne firmato l'armistizio credemmo veramente che iniziasse un periodo nuovo e bello per noi. Ma durò poco: dopo solo due giorni dall'otto settembre si cominciava a percepire che la guerra non sarebbe finita e che anzi si profilava il pericolo di un'invasione dell'Italia da parte dei tedeschi: Avevo paura, come spesso mi succedeva e cercavo di convincere Roberto che sarebbe stato meglio andarcene da Orta, dove tutti sapevano che noi eravamo ebrei. Lui invece era tranquillo e si sentiva più sicuro lì, tra amici e conoscenti, che non in un posto estraneo.
Insistevo e lo supplicavo di darmi retta "Roberto andiamocene ti prego. Non possiamo più restare qui. Se arrivano i tedeschi per noi è pericoloso". Glielo ripetevo in continuazione senza risultati finché mi decisi a dirgli: "io me ne vado da sola, anche se non mi vuoi seguire". Allora si convinse e ci preparammo per la partenza, che, su suggerimento del Podestà (il quale conosceva bene la famiglia di mio marito) avrebbe dovuto avvenire il 15 settembre. Il podestà di Orta era l'avvocato Galli, che ciavrebbe gentilmente accompagnati ad Omegna, da dove avremmo potuto tentare di espatriare in Svizzera. Ma la partenza fu rinviata al giorno seguente, poiché in quella cittadina ci sarebbe stata il mercato locale e quindi la possibilità per lui di incontrare dei clienti senza dare troppo nell'occhio in nostra compagnia.
Quello che avvenne dopo ci capitò come un fulmine a ciel sereno. Qualcuno che ci conosceva bene sicuramente ci denunciò, e le SS arrivarono lì, proprio per noi.
Vengo Domani, zia
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