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ESTRATTO INTERVISTA A VITTORIO FOA


Vittorio Foa
Torino
Noi fummo liberati quando Mussolini cadde (..) ma ci tennero ancora molto tempo dentro e corremmo il rischio di cadere nelle mani dei tedeschi. Io fui liberato due settimane prima che i tedeschi arrivassero, raggiunsi la mia famiglia ed ebbi il tempo di prendere contatto coi miei compagni di cospirazione e di riprendere il mio posto con nome falso ma facendo una vita aperta.
Di fronte all’occupazione potevo scegliere tra due ipotesi: quella di nascondersi, di dire “Passerà e quando sarà passato uscirò fuori” e quella di vivere con falso nome ma una vita all’aperto.
Scelsi questa seconda via che mi dava un senso di sicurezza molto maggiore: essere una persona come gli altri, girare e fare il mio lavoro politico come potevo. Avevo l’impressione che stare nascosto in una stanza sarebbe stato non dare il mio contributo all’impegno collettivo . (…)Era un’alternativa che si pose per molti ebrei o antifascisti , nascondersi o emigrare… Ma io non mi sentivo capace né di nascondermi né di emigrare perché con l’emigrazione mi pareva di staccarmi dalla lotta, e nascondersi voleva dire sentirsi in una trappola, sentirsi completamente indifeso. Perlomeno, essendo fuori eri in mezzo alla lotta politica, coi partigiani armati, era una guerra civile se vogliamo ma era una guerra aperta. Io feci questa scelta che era per me una scelta inevitabile non avrei potuto fare una scelta diversa.
…Quando sono uscito dal carcere trovai moltissimi giovani impegnati nell’attività antifascista. Non c’era confronto con gli anni del mio arresto, nel 1935, quando eravamo pochissimi ed era difficilissimo espandere le nostre file. Nel 1943 ormai il fascismo e il nazismo avevano subito militarmente dei colpi molto duri, …la situazione era completamente cambiata. Trovai moltissimi ragazzi ebrei, ragazzi e ragazze nel movimento. Ed era molto bello per me trovare tutta questa gente, fare nuove amicizie. Quelli che avevo visti bambini, famiglie borghesi, adesso erano ragazzi pieni d’audacia con il calore negli occhi, il bisogno di battersi, il senso straordinario che era venuto il momento di mostrare che esistevano, che era il momento decisivo della loro vita. Erano i ragazzi di vent’anni. Molti ebrei fra loro. Ma anche allora mi colpì- (e credo che quella sia stata l’ultima generazione che ha avuto un certo modo di sentire)- il fatto che loro non agivano come ebrei–ma come antifascisti e antinazisti italiani.
Era ancora la spinta a rivendicare un’Italia diversa. Lo stacco si ebbe molto forte quando abbiamo preso tutti coscienza di cosa è stata la Shoah- E’ stato anche uno stacco generazionale. Quelli che avevano vent’anni nel 1943 hanno partecipato alla Resistenza mettendo in prima fila l’elemento italiano. Già nel 1945 molti di loro hanno aderito al sionismo e poi nel 1948 hanno partecipato alla guerra d’indipendenza in Israele. La Shoah e la creazione dello Stato di Israele hanno determinato nella generazione nata negli anni Quaranta una condizione psicologica molto diversa di quella della mia generazione. La generazione nata durante e dopo la guerra ha sentito la specificità dell’essere ebreo molto più intensamente della mia generazione, della generazione degli anni Dieci e Venti.
Intervista a Vittorio Foa
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