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"CIRCOLAVANO NOTIZIE INCONTROLLATE E, TRA SMENTITE E CONFERME, SI SEPPE CHE I TEDESCHI, PROVENIENTI DA NORD, DALLA CASSIA, E DA SUD-OVEST, DA FIUMICINO, OSTIA E PRATICA DI MARE, SI DIRIGEVANO VERSO LA CITTÀ..."


Estratto testimonianza su Elena Di Porto
Elena Di Porto
Roma
Circolavano notizie incontrollate e, tra smentite e conferme, si seppe che i tedeschi, provenienti da nord, dalla Cassia, e da sud-ovest, da Fiumicino, Ostia e Pratica di Mare, si dirigevano verso la città. Alla notizia il fermento fu generale e la mobilitazione immediata. Ricorda Monelli: «Giovani animosi, uomini dai capelli grigi con lo scudetto dell'altra guerra all'occhiello si trovavano a casa un fucile e corsero dalle parti di San Paolo a dar man forte ai granatieri e ai lancieri che sulla via Ostiense con tranquillo coraggio sparavano contro i tedeschi che tentavano di sfondare ed entrare in città». Lì, a Porta San Paolo, prendeva corpo la disperata e inutile resistenza dei reparti dell'esercito italiano affiancati da borghesi, popolani e studenti. «Gente nostra che nessuno ha pensato di inquadrare e dirigere, con armi raccattate dai soldati in fuga o distribuite da qualche sperduto gruppo di partiti»; resistenza che terminerà tragicamente il 10 settembre, verso le ore 17.15.
Nel subbuglio di quelle giornate, mentre in vari punti della città i soldati e carabinieri venivano disarmati dai tedeschi (che intanto avevano occupato i principali edifici pubblici, la centrale telefonica statale, la sede dell’EIAR, la sede del PNF e i mercati generali), civili a caccia di derrate alimentari e scorte di vestiario assaltavano negozi, magazzini e depositi militari.
Tra gli episodi segnalati dai rapporti della questura romana al capo della Polizia, quello del 9 settembre.
Verso le ore 16 un gruppo di persone composte in massima parte di donne e bambini si radunavano nei pressi dell’ex magazzino dell’Aeronautica tedesca sito in via Circonvallazione Trionfale, per tentare di saccheggiare alcuni autocarri della sussistenza italiana mentre si stava effettuando il carico di rilevante quantitativo di pane. Per allontanare i dimostranti l’ufficiale comandante il plotone dei Granatieri di servizio nella zona ordinava il fuoco. La folla si dava subito alla fuga. Non si deplorano né morti né feriti.
Uguale sorte toccò alle caserme e alle armerie assaltate dai molti civili alla ricerca di armi per difendersi dai tedeschi, tentativi ripetutisi in molte parti della città e oggetto di numerose segnalazioni da parte della questura.
Uno dei primi e più rilevanti incidenti, certamente il più eclatante, si verificò la sera del 9 settembre. E ne fu protagonista proprio Elena Di Porto.
Ieri sera ore 18 circa un centinaio di ebrei probabilmente impressionati per le voci che i tedeschi stavano entrando in Roma, assalivano il negozio di riparazioni armi e vendita esplosivi in via Monterone 16 gestito da Vestroni Antonio, che era chiuso, e dopo avere scassinata la saracinesca penetravano nell’interno asportando 70 fucili da caccia e circa 150 colpi per pistola. Successivamente in piazza Benedetto Cairoli 115 dinanzi all’armeria di Casciano Edoardo tentavano di scassinare la saracinesca, ma venivano messi in fuga dalla forza pubblica e da alcuni ufficiali e militari di passaggio. E’ stata fermata dall’ufficio P.S. di S. Eustachio l’ebrea romana Di Porto Elena fu Angelo nata a Roma 1912 ab. in via Portico D’Ottavia n. 1 che con un bastone tentava insieme con altri ebrei di sfondare la saracinesca dell’armeria Casciano.
Pertanto, il giorno dopo l’armistizio, cioè il 9 settembre, verso sera, Elena Di Porto si trovava nei dintorni di Torre Argentina, ai limiti del Ghetto e, secondo quanto comunicato dalla Pubblica sicurezza, era alla testa di una nutrita folla di ebrei; si disse, un centinaio. Era segnalato che la donna e il suo gruppo avevano tentato probabilmente una prima irruzione nei paraggi, in via Monterone, nell’armeria Vestroni, dalla quale furono asportati 70 fucili e un grosso quantitativo di munizioni. Certo è che, verso le ore 18, il gruppo guidato da Elena aveva mosso verso via Arenula e di qui nell’attigua piazza Cairoli, dove si trovava un’altra armeria, quella gestita da Edoardo Casciano. La folla tentò di scassinare la saracinesca ma, intervenuta la forza pubblica e i militari della Divisione “Sassari” (anch’essi dislocati in città con il compito di salvaguardare l’ordine pubblico), l’irruzione fu bloccata e la folla dispersa. Fu fermata la sola Elena Di Porto, rinchiusa nella camera di sicurezza del Commissariato di S. Eustachio e qualche giorno dopo a Regina Coeli, dove rimase fino al 28 settembre.
A quanto sembra, solo una parte delle armi e delle munizioni sottratte alla prima delle due armerie fu recuperata dalla polizia, mentre del resto del bottino si persero le tracce. Si può supporre che le armi furono distribuite ai civili che in quelle ore andavano accorrendo numerosi a Porta San Paolo per opporre resistenza ai tedeschi che muovevano verso la città e a qualche nucleo antifascista che si stava riorganizzando. Non è escluso che gli ebrei che parteciparono all’assalto alle due armerie stessero, essi stessi, accorrendo dalle parti di Ostiense. “Tutti a San Paolo, gli uomini a San Paolo. La gente correva da una parte all’altra. Molti scappavano. Molti andavano a combattere. C’era pure qualcuno che correva dal Ghetto con la bandiera italiana in mano. Molti sono anche morti”.
L’assalto di Elena e dei suoi alle due armerie di largo di Torre Argentina fu oggetto di ben tre rapporti della questura romana. Oltre a quello inviato nell’immediatezza dei fatti, ne furono redatti altri due, il 13 e il 15 settembre 1943. Il primo, in particolare, riassumeva la situazione dell’ordine pubblico nella Capitale in quelle confuse giornate e sottolineava, senza esitazioni, che a capeggiare la massa fosse proprio l’ebrea romana Di Porto Elena.
Inoltre, gli agenti di polizia che avevano tratto in arresto Elena dichiararono di aver proceduto perché ella contrariamente a quanto disposto dall’ordinanza del Comandante del Corpo d’Armata di Roma del 26 luglio 1943, incitava un centinaio di persone a forzare la saracinesca del negozio di Casciano per prendere armi. La Di Porto assieme ad altri, con un bastone, iniziava a scassinare la detta saracinesca e all’intervento della forza pubblica si dava alla fuga.
Lo stesso titolare del negozio di armi, sentito al Commissariato, dichiarava, in proposito.
Scesi subito per strada per chiedere l’intervento della polizia o dei militari e notai che a capo degli assalitori, quasi tutti ebrei e da me conosciuti di vista, era la nominata Di Porto Elena, di razza ebraica, arrestata da questo Ufficio.
L’episodio, che si verificava nelle ore immediatamente successive all’armistizio e nello stesso giorno dello sbarco alleato a Salerno, fa sorgere diversi interrogativi, alcuni dei quali ancora da sciogliere, vista la carenza di prove documentarie.
Innanzitutto c’è da chiedersi come mai fu arrestata solo Elena Di Porto, mentre gli altri riuscirono a darsi alla fuga. Si può ipotizzare che, trovandosi alla testa del gruppo, avesse attirato su di sé, unica donna, le attenzioni della forza pubblica, probabilmente mettendo in atto lo stratagemma ampiamente collaudato negli anni precedenti: può darsi cioè che Elena si fosse frapposta fisicamente tra i suoi e la forza pubblica e avesse creato in qualche modo un diversivo per permettere loro di scappare finendo per farsi arrestare. Lo aveva fatto in passato, come s’è detto, e non è improbabile lo avesse fatto anche in quella occasione. Peraltro, la stessa Elena accampò zoppicanti giustificazioni al momento del fermo – dichiarò che si trovava a passare per caso e che il bastone che brandiva lo aveva tolto a uno degli assalitori, che disse essere boxeur di Trastevere -, giustificazioni che non convinsero né la forza pubblica né i giudici che confermarono la sua volontà di compiere il gesto “in modo non equivoco, tramite violenza”.
Sorprende, poi, che un’azione tanto eclatante sia stata messa in atto da una donna appena tornata a casa dopo tre anni di internamento tra Basilicata, Abruzzo e Marche, che l’avevano tenuta lontana dai figli e profondamente segnata nel corpo e nello spirito. Possibile che non avesse pensato a non cacciarsi nei guai e ad attendere gli eventi? In realtà, qui, a spiegare quel comportamento è quel suo temperamento combattivo, irriducibile e riottoso che, anche in quel frangente, la mosse all’azione, istintivamente e senza alcun indugio.
Pure il fatto che Elena avesse potuto radunare intorno a sé tanti ebrei non è affatto strano se si considera che da tempo si era spesa personalmente contro ogni forma di sopruso e violenza contro se stessa e contro la sua comunità, guadagnandosi popolarità e fama di paladina degli ebrei “di piazza” e di tosta “antifascista”.
In definitiva, pur volendo ridimensionare il numero dei partecipanti all’azione (furono davvero cento?) e la loro appartenenza in massa alla comunità ebraica, frutto magari di una qualche esagerazione della Pubblica sicurezza nella concitazione del momento, non si può non registrare il ruolo centrale e carismatico che gli ebrei romani riconobbero a Elena Di Porto nell’azione e che le carte della polizia registrano con molta chiarezza.
Un’altra domanda sorge nell’analisi retrospettiva degli eventi. L’assalto all’armeria fu un’azione spontanea o, in qualche maniera, connessa all’attività, per la verità in nuce, delle formazioni antifasciste? L’ipotesi più plausibile, a parere di chi scrive, è quella della Di Porto fu una delle numerose azioni di cui ha parlato Zangrandi.
Quando reazioni vi furono ciò avvenne per opera di singoli cittadini e di gruppi di patrioti, di militari senza ordini e predisposizioni dalle autorità militari centrali. Fu su questo terreno (un terreno dove, il più delle volte, si lascia la vita) che si verificò, sintomatico, il contrasto tra le forze popolari e le autorità costituite, tra migliaia di uomini semplici e ignoti fino a quel giorno e in gran parte rimasti ignoti anche dopo, […] e coloro che, dopo 45 giorni, avessero simulato di difendere [l’Italia] e ora l’avessero tradita.
La matta di piazza Giudia
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