Estratto da "Metà della vita" di Mario Tagliacozzo
Mario Tagliacozzo
Roma
Sorse intanto il difficile problema del parlare ai ragazzi, che siano ad allora erano stati da noi tenuti all’oscuro di quanto temevamo, poiché avevamo procura to nascondere loro la gravità del momento per tenerli il più a lungo possibile lontani da ogni preoccupazione. Quando però, con i provvedimenti scolastici proprio i ragazzi vennero colpiti, non fu più possibile tacere e fu giocoforza parlare e spiegare. Toccammo allora con i figli argomenti storici e religiosi, cosa che non avevamo mai fatta in tanti anni, per essere sempre vissuti lontani sia dall’ambiente religioso sia da ogni cerimonia o festa della nostra comunità. A loro ignari completamente di queste tristi malvagità del mondo spiegammo quanto avveniva e quanto sarebbe potuto accadere, chiarendo le cose e nello stesso tempo procurando di non impressionarli e di non turbare i loro animi innocenti. Contemporaneamente, mentre già cominciavamo a pensare al da farsi in un più o meno lontano futuro, ci preparammo a studiare il problema scolastico, che era il primo che ci si presentava e che aveva per noi un duplice aspetto: Roberto aveva già frequentato l’anno precedente la prima ginnasiale al Mamiani, mentre Guido era stato promosso alla quarta elementare. Poiché intorno a noi da tutti veniva dibattuto lo stesso problema, cercammo di mantenerci in contatto con altri, per procurare di organizzare qualcosa insieme.…
Sin dai primi giorni vedemmo qualcuno partire, altri ricorrere al battesimo per poter far frequentare ai figli le scuole religiose ma di questo argomento parlerò in seguito.
Il problema di Guido fu assai presto risolto completamente, perché furono istituite sezioni speciali di scuola elementare separate dai corsi regolari, e cominciarono a funzionare di lì a poco. Erano limitate a poche scuole della città la scuola di Guido era a Via Boezio, abbastanza lontana dalla nostra casa e funzionava, come le altre sezioni ebraiche, durante il pomeriggio. Fummo costretti a modificare le abitudini del bambino, a farlo mangiare prima da solo e ad accompagnarlo a scuola. In un secondo tempo riunimmo un gruppetto di bambini, che furono accompagnati a turno da una delle mamme. Infine, malgrado la distanza, finimmo per emancipare i piccoli, mandandoli a scuola da soli in un gruppetto, cosa che in tempi normali non avremmo certamente fatta. Quando qualche volta Guido andò anche da solo, ci accorgemmo che il piccolo non faceva la strada più breve e tranquilla ma la cambiava per passare lontano dalla sua vecchia scuola di Via Monte Zebio: la sua sensibilità non gli permetteva di incontrarsi con i vecchi compagni e con la sua maestra.
Il problema di Roberto era di soluzione assai più difficile, perché era stato dichiarato che le scuole medie e superiori non sarebbero state concesse. Il problema per tutti gli appartenenti alle scuole medie si presentava assai grave. Non era facile provvedere singolarmente specie per il ginnasio superiore e per il liceo e solo la Comunità avrebbe potuto risolvere la situazione di fronte alla quale venivano a trovarsi tante e tante famiglie. Il prof. Prato, rabbino maggiore, se ne preoccupò subito e contemporaneamente se ne interessarono varie altre persone e tra queste Carlo fu tra i primi. Carlo ebbe subito vari incontri e fu da questi colloqui che sorsero in breve le riunioni di un più ampio gruppo di padri di famiglia, desiderosi di affrontare e di risolvere prontamente un tanto importante problema. Si formò così il “Comitato dei padri di famiglia”, che chiese subito di essere ricevuto dal presidente della Comunità israelitica per proporre l’istituzione di scuole. La risposta fu negativa.
Eravamo già al mese di ottobre e non si poteva tardare oltre. I colloqui in Comunità furono numerosi. Ad un certo punto si finì però per giungere ad un accordo, giacché nuove disposizioni non permettevano l’apertura di scuole israelitiche da parte di privati ed accordavano tale iniziativa esclusivamente alle Comunità israelitiche. Così anche la Comunità di Roma finì per accordare al Comitato dei padri di famiglia l’apertura delle scuole medie israelitiche. Carlo continuò ad occuparsi della cosa, entrò a far parte del Consiglio e anche del piccolo gruppo che provvide alla scelta e alla nomina dei professori. Io continuai a occuparmi della parte finanziaria, dando tutto il mio appoggio per la ricerca dei fondi necessari.
Quando, nel novembre 1940, Carlo partì, io presi il suo posto in seno al consiglio e da allora vi sono sempre rimasto.
I ragazzi frequentarono sempre entusiasticamente la loro scuola, che servì a cementare, anche maggiormente, se possibile, i rapporti tra le famiglie e dette a molti più agio di conoscersi.
I primi provvedimenti che vennero emanati nel settembre toccarono il campo della scuola e quello della cittadinanza che, concessa agli stranieri ebrei, veniva revocata con le nuove disposizioni. Uno dei nostri cugini acquisiti, Sandro, fu colpito dal provvedimento della cittadinanza e decise di partire con tutta la famiglia.
Questa partenza ci fece molto effetto, ma non restò isolata nella nostra cerchia, perché in breve vedemmo partire molte altre famiglie e tra queste già in novembre la famiglia della nostra amica Bianca Ottolenghi, che si imbarcò per l’Argentina. Più ci fece effetto il loro battesimo, che fu il primo intorno a noi. Molti altri ne seguirono successivamente, anche tra gente che ci accostava, specie nell’ambiente intellettuale e più elevato, mentre il ceto più basso si mantenne maggiormente attaccato alla religione. Molti si battezzarono e partirono, altri si battezzarono e restarono, credendo di aver così salvata la situazione. Nel corso del mese di ottobre vi fu l’obbligatoria dichiarazione di razza, che fece seguito al censimento dell’agosto, così in lunghe file ci ritrovammo all’anagrafe per le necessarie pratiche.