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"QUEL 16 OTTOBRE 1943, ERA E SAREBBE POTUTO ESSERE UN SABATO DI GUERRA COME TANTI ALTRI, NULLA FINO AD ALLORA AVEVA LASCIATO PRESAGIRE CIÒ CHE SAREBBE ACCADUTO DI LI A QUALCHE ORA"


Il racconto dettagliato della razzia del 16 ottobre
Oscar Di Gioacchino
Roma
Quel 16 ottobre 1943, era e sarebbe potuto essere un sabato di guerra come tanti altri, nulla fino ad allora aveva lasciato presagire ciò che sarebbe accaduto di li a qualche ora.
Mia madre, come già era solita fare altre volte, al sabato, si era alzata alle 3 per andare a prendere il “posto” in fila in Vicolo del Moro dal rivenditore di bassa macelleria, per cercare di acquistare qualcosa per il fine settimana.
Due ore più tardi sarebbe stata la volta di mio padre, che sentii uscire di casa alle 5 per recarsi alla rivendita di tabacchi in Piazza Sonnino a fare la fila, per ritirare la razione di sigarette, per quindi subito dopo recarsi al lavoro.
Saranno state le 6.30 quando, io e mio fratello Cesare venimmo svegliati da mia madre agitatissima, la quale dopo averci fatto vestire in tutta fretta, senza spiegarci nulla, ci fece uscire per condurci in casa di mia zia Linda (sua Sorella) in Via della Lungaretta, dove già si trovava mio fratello Attilio che da qualche tempo ivi alloggiava per sfuggire al “Lavoro Obbligatorio” sulle rive del Tevere.
Qui finalmente mia madre ci mise al corrente sull’accaduto, a noi a Zio Corrado e a Zia Linda.
Mamma mentre era in fila, aveva sentito due signore, raccontare che in Piazza S. Maria in Trastevere avevano veduto un camion tedesco rastrellare delle famiglie ebree; sentendo ciò si era preoccupata ed aveva lasciato il “posto” in fila, per venirci a prendere.
.... Mio Zio Corrado cercò di tranquillizzarla dicendole... ‹‹Per due tedeschi che girano su di un camion, ti sei lasciata impaurire...››, convincendola così a ritornare in fila, aggiungendo ‹‹ ..va.. va altrimenti perdi pure il posto in fila››.
Solo mio Zio Oscar che abitava alla porta accanto, sentito il tutto, si organizzò e uscì di casa con la sua famiglia; cosa che avremmo dovuto fare anche “ Noi “ ma invece....
Mia madre che si era lasciata convincere, uscì per ritornare in fila, io mi misi in finestra, quando ad un tratto vidi arrivare da Piazza S. Maria in Trastevere un camion Tedesco, questo si fermò sotto il Portone, dal quale ne discesero due soldati.
Fu a questo punto che mi misi a gridare che stavano arrivando i tedeschi, non rimaneva che fuggire, ma dove? Mio zio e mia zia decisero di provare ad andare all’ultimo piano, in un appartamento di proprietà di un’altra sorella di mia madre, zia Ada, che al momento si trovava insieme con i figli a Mogadiscio, essa era ora abitata da un’affittuaria, la Signora Ilaria con sua figlia Vittoria e il marito.
Il destino volle che mentre salivamo, lei stesse scendendo con la figlia ed il genero, ex sergente dei granatieri, sfuggito alla morte l’8 Settembre a Porta S. Paolo, nel vederci intuii che stava accadendo qualcosa di anomalo, prontamente tornarono sui loro passi, aprirono casa, e si precipitarono in camera da letto, dove spostarono un mobile dietro al quale era nascosto l’ingresso di una botola che portava direttamente sopra i tetti ed è in questa che s’infilarono, mio Zio Corrado, miei fratelli Attilio e Cesare, mio cugino Emanuele, Aldo Anticoli (figlio di uno dei subaffitti di mio zio) ed infine questo Signore; dopo di che il mobile venne rimesso al suo posto.
Le donne: Zia Linda, Zia Emma e Minia sorella di Aldo nonché figlia di Adolfo Anticoli, finsero di riassettare la casa, io mio cugino Cesare e la nipote della padrona di casa ci mettemmo a giocare in terrazzo.
Va doverosamente aggiunto che nell’appartamento dei miei zii, oltre alla sua famiglia, abitavano, in due stanze subaffittate: in una il Signor Anticoli Adolfo con i suoi due figli Aldo e Minia, e nell’altra una coppia di ultra settantenni ebrei.
Al momento della fuga l’Anticoli Adolfo che stava facendosi la barba dichiarò: ‹‹... che se ne fanno di un vecchio come me e poi io sono stato già prigioniero nella Prima guerra mondiale dei tedeschi›› e così dicendo seguitò a farsi la barba, gli altri due signori, rassegnati, dichiararono ‹‹Sarà fatta la Volontà di D-o Benedetto››, e rimasero.
Mentre accadeva quanto sopra, mia madre, tornata in fila, cercò di saperne di più in merito, chiedendo ad altre persone, ma non ricevette che conferme, in molti ora avevano veduto portare via intere famiglie “ebree” piangenti, qualcuno aggiunse che perfino vecchi malati e neonati, mia madre non volle ascoltare ulteriormente e senza sentire le conclusioni si allontanò decisa questa volta di portarci via comunque dalla casa dove ci aveva lasciati, ma ritornata sui suoi passi, s’avviò per Via della Lungaretta, giunta in prossimità del portone, si rese conto che i Tedeschi avevano fatto prima di lei, infatti sotto il portone dovette constatare che c’era un camion di tedeschi fermo.
Non ebbe un attimo d’esitazione, prese ed entrò nel portone (pur avendo con se la borsa delle carte annonarie dove in una di essa figurava il mio nome e cognome, uguale a quello di mio Zio Oscar che era lì domiciliato, lei venne fermata da un ufficiale tedesco che rivolgendosi alla portiera chiese chi lei fosse, la portiera, la Signora Aurelia, pur avendola riconosciuta, dichiarò di non conoscerla.
L’ufficiale però non la lascia andare, la fa mettere seduta in guardiola, dalla quale, è costretta suo malgrado ad assistere passivamente al rastrellamento del Signor Anticoli Adolfo, e della coppia degli ultra settantenni, i quali passandogli accanto, a mia madre senza guardarla neanche, uno di essi gli mormora: ‹‹Fanno Reschudde i Gnevrim...›› (n.d.r. frase in giudaico romanesco per dire ‹‹...Portano via gli ebrei››), mia madre, vedendo portare via loro, s’aspetta da un momento all’altro di vederci portare via anche a noi.
Qualora si fosse presentata questa eventualità; ci confidò poi, non avrebbe esitato a seguire il nostro destino; ma ciò non accadde […].
Per completare questo mosaico necessita fare un passo indietro, infatti va detto che i tedeschi erano saliti fin su all’appartamento dove tutti noi eravamo rifugiati; aveva no chiesto i documenti all’affittuaria, la quale però, dopo averglieli mostrati li aveva fatti parlare con la figlia Vittoria che parlava il tedesco, essi infatti avevano voluto fare una attenta perquisizione, poi rivolgendosi sempre in tedesco a lei gli avevano domandato chi erano tutte quelle persone, ed essa gli aveva risposto, indicando mia zia Linda che il suo nome era Germana Impero, e che tutti gli altri erano parenti sfollati da Civitavecchia.
I tedeschi non mancarono di venire finanche in terrazzo dove eravamo noi a giocare (si fa per dire), essi si arrampicarono sui davanzali per guardare sopra i tetti, controllare così se c’era qualcuno nascosto, ma non videro nessuno, perché gli abitanti dei palazzi del circondario; compresa la situazione, con dei cenni davano a quelli na scosti, le posizioni dei tedeschi, i quali non vedendo nulla di sospetto si ritirarono. L’ufficiale tedesco prima di andarsene volle completare la sua operazione, controllando anche le cantine, questa ulteriore decisione provocò un tuffo al cuore di mia madre, che nel suo intimo aveva pensato, non vedendoci prima portare via, che, prima dell’irruzione tedesca, come ultimo rifugio ci fossimo rifugiati in cantina, le i non poteva sapere quanto invece era accaduto, per qualche attimo, infinitamente lungo, pensò al peggio, fra se e se si mise a pregare...fu ascoltata, a lei così sembrò, ma fu la sua volontà, e Quella dell’ONNIPOTENTE, che l’aveva premiata per il suo coraggio.
Dopo aver fatto quest’ultimo controllo i tedeschi se ne andarono.
Trascorsa una mezz’ora a piccoli gruppi, per non insospettire, scendemmo separandoci senza dirci nulla.
Rammento che mia madre tra le lacrime dopo averci abbracciati e baciati, senza chiederci nulla c’invitò ad allontanarci al più presto. Ora un unico pensiero aveva per la mente, rintracciare mio padre al lavoro, per farlo ricongiungere a noi.
Fin dal primo mattino la giornata si era presentata fredda e umida. Una pioggerella fitta e insistente incominciò a cadere (Sono trascorsi da quel lontano giorno, cinquanta anni, ma il pensiero che mi assalì in quel momento; forse vedendo mia madre piangere; ed al quale negli anni a venire, feci poi sempre caso, ...‹‹Anche il “ Cielo Piangeva “ ››, ed è così che in “Quel giorno”, il 16 Ottobre, piove sempre,...forse, chissà un Segno Divino per rammentarci il dolore e la tristezza, che in quel lontano giorno colpì il “SUO POPOLO”). Giunti in piazza Sonnino, entrammo nella Farmacia, che mia madre riteneva un posto più sicuro, telefonò a mio padre al lavoro (Infatti lui grazie al favore di una “Vecchia amicizia “, poteva svolgere un’attività lavorativa) da Ginobbi al Corso, pregandolo di raggiungerci al più presto al ponte Garibaldi, senza dargli nessun ragguaglio. Un quarto d’ora più tardi fummo raggiunti, la mamma lo prese sottobraccio raccontandogli l’accaduto e tutti insieme ci avviammo verso S. Pietro […]
Durante quelle ore che erano rimasti assenti, ci raccontò mio padre, si erano rivolti a vari Istituti Religiosi intorno a S. Pietro, ma tutti si erano rifiutati, apponendo le più inverosimili giustificazioni, dalla mancanza di posto per arrivare ad una richiesta di danaro con conversione.

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