Alberto e Fatina Sed
Auschwitz
Un giorno […], alle latrine, sentii imprecare in italiano. Sobbalzai, poi mi precipitai per individuare chi fosse. Era un militare di Frascati, si chiamava Tasca. Lo avevano messo a fare il guardiano dei cessi perché gli mancava un braccio, non poteva fare altro. Era stato ferito dagli inglesi, quando erano ancora loro i nemici. […] Ancora oggi ricordo parola per parola la lezione di sopravvivenza che si sentì in dovere di darmi:
- Conosci i Dieci Comandamenti?
- Certo.
- Bene, dimenticali! Qui ne devi rispettare uno solo: Non avrai altro Dio fuori di me. Ma bada, il tuo dio sei tu. Devi pensare a te stesso e basta. Non aiutare nemmeno tuo padre, tuo fratello. Se cadono non rialzarli, uccideranno prima te e poi loro.
Fece anche di più. Dal mio cucchiaio ricavò una parte appuntita:
- Vuoi sapere perché l’ho fatto? Hai già visto che miseria ci danno da mangiare. Ebbene: non avrai mai niente di più. Perciò ascoltami con attenzione. Nei prossimi giorni lavorerai in posti sempre diversi. Dovunque andrai, prendi tutto ciò che può nutrirti: foglie, erba, bucce di patate. Questa punta ti servirà se dovrai tagliare qualcosa. Se lavori agli arrivi dei treni e vedi dei biscotti lasciati da qualcuno, mangiali, anche se sono andati a male. Qualunque cosa ti servirà per sopravvivere. Poi mi squadrò da capo a piedi:
- Quanti anni hai figliolo?
- Quindici.
- Per la tua età mi sembri abbastanza robusto. Forse se la guerra finisce presto, puoi resistere.
Infine mi spiegò come comportarmi con i tedeschi:
- Quando ti passano accanto non guardarli negli occhi, per nessun motivo! Tieni la testa bassa, o penseranno che vuoi sfidarli. Osserva cosa succede, e qui purtroppo succede di tutto - ironizzò-
Quando torni dal lavoro, stai in testa alla fila per il rancio, e sarai sicuro di mangiare.
Il peggio doveva ancora venire:
- Alle selezioni, i più deboli vengono eliminati. Se una SS ti viene vicina, irrigidisci subito il corpo. Così se ti dà una spinta non cadi. Lo fanno apposta, se barcolli ti prendono il numero e il giorno dopo vai dritto al crematorio.
In seguito lo avrei visto fare tante volte: la fila, il controllo, i numeri segnati sull’elenco. Un gesto meccanico, burocratico, come per compilare una nota della spesa.
Invece era la barriera fra chi smetteva di soffrire e chi no. La selezione non era il solo biglietto per l’altro mondo.
- Hai già visto gli impiccati? Tutte le sere appendono qualcuno, per le mancanze più stupide, e ci fanno assistere per spaventarci.
La lista degli orrori era destinata a proseguire ancora a lungo:
- Attento ai cani. Se non stai in fila quando cammini, ti morderanno a sangue. Se poi le ferite si infettano, sei finito.
Io lo ascoltavo con la massima attenzione. In ogni dettaglio sembrava esserci una possibilità in più di salvezza:
- La morte non è così terribile. Dopo un po’ di questo inferno, non ti spaventerà più. Ad ogni selezione ci sono persone che chiedono di essere uccise. Quelli destinati alla camera a gas ci vanno tranquilli, se non si gettano prima sul filo spinato per restare fulminati. Chi non riesce a farla finita da solo si rivolge a un altro. Gli offre una razione di pane. In cambio l’altro deve camminargli alle spalle, e una volta vicini al reticolato dargli una spinta quando non se lo aspetta. Così muore senza accorgersene, è la fine migliore.
La vita nel campo aveva tante insidie. Tasca cercava di insegnarmi i trucchi per evitarle:
- La domenica fai attenzione: le SS non hanno niente da fare, qui non ci sono certo il cinema o le sale da ballo. Per divertirsi ti aizzano i cani contro. Non stare in gruppi numerosi, due o tre persone al massimo, e cammina sempre al centro. Tieniti distante dai reticolati, così non rischi un calcio sulle spalle.
Seguendo i suoi consigli alla lettera, molte volte scampai al pericolo, alle botte, alla morte. Una sola cosa non riuscii a fare: prendere il cibo in cucina. Lui aveva insistito: è per necessità: ma era più forte di me. Mia madre non mi vedeva, mio padre non c’era più, ma ricordavo bene i loro insegnamenti: toccare una cosa che non ti appartiene è una brutta azione. Avrei rubato ai miei aguzzini, lo sapevo, ma era lo stesso.
A volte mi sarebbe bastato allungare una mano per prendere una patata, un pezzo di salame. Nessuno mi avrebbe visto. Ma restavo lì, un passo indietro, con una fame d’inferno e la coscienza pulita.
[…] Fra compagni di sventura, in campo, restare uniti era una chimera. Anche per chi conosceva il valore era difficile conservare la solidarietà. Ci dividevano per poterci dominare, vessare. Ognuno si abituava a stare solo, ma a volte, per non portare sulle spalle il peso eccessivo, cercavano di essere soli insieme a qualcun altro. Dopo qualche giorno di prigionia incontrai mio cugino:
- Angelo! Vieni, sono io, Alberto.
Si avvicinò e mi strinse la mano. Un abbraccio era un’effusione vietata. Mi guardò stralunato, dovevo essere ridotto male:
- Alberto che ci hanno fatto ritrovare una persona era uno spiraglio di luce, nel buio di quei giorni. Ogni tanto riuscivamo a vederci, nei rari momenti liberi: finalmente avevo qualcuno con cui parlare della mia famiglia.
Le domande che ci scambiavamo, però, erano quasi sempre senza risposta:
- Tua madre, le tue sorelle?
- Non le vedo dall’arrivo. Tu hai trovato qualcuno?
- Sei il primo. Ancora non mi sembra vero che ci siamo trovati.
Ci interrogavamo sulla sorte dei parenti lasciati a Roma, che temevamo fossero stati catturati.
Il mondo è piccolo, si dice. Lo fu davvero, per noi ebrei, nei lager. Nei giorni che seguirono, nella mia baracca ritrovai ragazzi che erano stati con me in collegio:
- Lamberto, hanno preso anche te. E tuo fratello? Ce l’ha fatta almeno lui?
- Sergio? Stesso blocco. E c’è un altro della vostra classe, Marco Funaro.
Marco lo ricordavo bene. E i fratelli Zarfati, ridotti da far paura. I genitori li avevano presi in casa, finite le medie, nell’illusione che fosse più sicuro. Sergio era in classe con me, Lamberto un po’ più grande.
Quando si trova un amico dopo tanto tempo, in un posto lontano, è sempre una bella sorpresa.
Un’altra regola che ebbe nel lager un’eccezione. Per ognuno di quelli che incontrai provai un grande dispiacere.
Avrei voluto vederli ovunque tranne che lì, a lottare ogni giorno per vivere.