Stefania Ajò Anav
Roma
04 Giugno 1944
Il 4 giugno 1944 è per me una data indimenticabile. Quando mi chiedono “Qual è stato il giorno più importante della Sua vita?” senza indugio rispondo “Il 4 giugno 1944” perché quel giorno la mia vita è iniziata di nuovo. Avevo 14 anni. Con papà Valerio, mamma Enrica e le due sorelle Silvana di 17 anni e Marcella di 12 eravamo nascosti in via Biella, 4, tra via Taranto e piazza Asti nella casa che il portiere Pietro ci aveva permesso di abitare accollandosi tutti i rischi del caso, compresa la vita, tramite l’amico di papà, sig. Agostini. La nostra fortuna, dal punto psicologico era di stare tutti insieme nella stessa casa, mentre la maggior parte delle famiglie ebree erano sparpagliate tra conventi, collegi, pensioni, ospedali, scantinati, retrobotteghe e tutti i posti più impensabili.
Dal 25 gennaio, giorno in cui le truppe alleate erano sbarcate ad Anzio, pensavamo che saremmo stati liberati entro pochissimo tempo. Radio Londra, con i suoi messaggi speciali “Anna dorme, “Le colline sono in fiore” ai quali ognuno dava un’interpretazione personale, continuamente raccomandava ai romani in ascolto (ben nascosti e con grandi rischi) di non esporsi al primo segno di ingresso delle truppe alleate, poiché poteva trattarsi di un trucco per stanare le tante persone nascoste in città. Noi, abitando vicino alla via Appia cioè sulla strada che collegava Anzio a Roma, sapevamo che l’ingresso in città sarebbe avvenuto vicino alla nostra casa. Verso la sera del 4 giugno, si sentivano i rumori delle cannonate vicinissimi e a un tratto cominciammo a vedere dietro le persiane accostate, delle camionette spuntate chissà da dove, piene di giovani che cantavano, inneggiando alla fine dell’occupazione tedesca, sventolando bandiere italiane. Papà, giustamente, ci impedì di aprire le finestre e, tanto più, di scendere per strada, sia perché dopo tanti mesi ancora non potevamo crederci, sia perché, sbirciando tra le sbarre, abbiamo scorto un soldatino tedesco fermo all’angolo con il suo fucile imbracciato, con l’aria spaurita in mezzo alla confusione e che, nonostante la situazione, evidentemente era in attesa di ordini. Così la situazione non era affatto chiara e ben fece papà a proibirci di scendere anche perché quei giovani eccitati e urlanti, gridavano ingiurie verso il fascismo e verso singoli fascisti. Era cominciata una caccia all’uomo. Così ce ne andammo a letto anche se eravamo eccitati e con le orecchie tese per sentire quello che stava accadendo. Verso le cinque del mattino dopo, il 5 giugno 1944, mamma ci venne a chiamare dicendo che papà era sceso e era tornato a prenderci tutti per andare tutti insieme ad applaudire i nostri liberatori che stavano entrando a Roma sulla via Appia. Ci vestimmo di corsa e per me ebbe inizio la giornata più emozionante della mia vita. Spuntati da una via laterale arrivammo su via Appia dove stavano sfilando, tra gli applausi, la gioia, le lacrime dei romani, carri armati, camion, camionette e infinite truppe alleate con elmetti ornati di fiori, sorrisi e baci verso una così festosa accoglienza.
Tra pianti e risa finì la giornata del 5 giugno e a quel punto bisognava tornare a casa di corsa perché ancora vigeva il coprifuoco. Eravamo stanchi e lontani da casa, e nessuno sapeva una parola di inglese. Inoltre mio padre era in preda a una colica renale. Riuscì a fermare, non so come, un camion con soldati neri, alti e grossi e a dire “via Appia!”. Questi ci fecero salire e uno cominciò a carezzare mia sorella Marcella. Forse gli ricordava qualcuno, o forse no, comunque il camion andava verso San Giovanni. Qui cominciammo a preoccuparci perché dovevamo scendere. Tutti in coro cominciammo a urlare “Stop! Stop!” che era tutta la nostra conoscenza dell’inglese e il nero a ridere e a dire “Ancio, Ancio” ovvero “Anzio”. Per la prima volta in vita mia, ho visto uomini neri, gialli, scuri, mulatti e tanti bianchi, ognuno dei quali aveva al braccio una fascia con la bandierina del proprio paese di provenienza. C’erano americani del nord, brasiliani, argentini, africani, svedesi, inglesi, francesi, un gruppo di italiani che avevano passato le linee unendosi agli alleati. Ma la grande emozione fu al passaggio della Brigata Ebraica formata da giovani ebrei provenienti dalla Palestina, allora occupata dagli inglesi, ma che allora erano alleati contro i tedeschi. Vedere la stella sul braccio di quei giovani è stato il primo vero segnale che le nostre sofferenze iniziate nel 1938 con le leggi razziali, erano finite.