Luciana Bassi Sullam
Roma,
Venezia
Sono nata a Venezia il 19 aprile del 1922, figlia primogenita di Lina Ravenna di Ferrara e di Gino (Girolamo) Bassi [...]
[...] in agosto (1938) eravamo al Lido: nella capanna vicina degli amici leggevano La difesa della razza, quando chiesi di vedere quella rivista si schernirono e andarono a nasconderla un po’ vergognandosi. Mentre ero a spasso per i viali in biciletta attraverso un ragazzino, amico di spiaggia, arrivarono alle mie orecchie le notizie del Consiglio dei ministri. Corsi a casa. Queste notizie giunsero fra gli ebrei come un bastone in un formicaio: tutte le formiche impaurite corrono qua e là per capire cosa succede e riformare il loro edificio. Così fu per noi: tutti si cercavano, tutti fuori, tutti al telefono. Avevamo capito bene?! Alunni e professori ebrei non potevano più frequentare le scuole.
Io credo che da quel giorno cominciai a pensare: Paura. La vita felice è finita, la vita spensierata è finita. Adesso comincia un’altra era.
[...] il 25 luglio (1943) Renzo era in barca con altri amici, mentre loro in laguna discutevano del fascismo, cadde il governo di Mussolini [...] quante speranze da quel momento, quanto confusione in questo in questo giorno, quanti pensieri, decisioni, attese [...] ma questi giorni eccitanti in cui pareva che tutto sarebbe presto tornato alla normalità furono ben pochi, l’8 settembre fu comunicato alla radio l’Armistizio. Io stavo facendo salti di gioia, ma mia mamma con le mani in testa, disperata, camminando per casa diceva: “per noi è finita! Per noi è finita!”.
[...] lo zio Mario, consigliere della comunità di Roma, ci fece avere a mano, non so da chi, una lunga lettera in cui ci supplicava di andare a Roma. Ci spiegò ciò che era successo lì: i tedeschi avevano chiesto agli ebrei di consegnare loro in 48 ore 50 chili d’oro in cambio della tranquillità. Terrorizzati, con molti sforzi li avevano trovati e consegnati, per cui a Roma gli ebrei sarebbero stati salvi. Le truppe alleate sbarcate in Sicilia stavano risalendo la penisola e sarebbero be presto arrivati a Roma. Ci saremmo sistemanti per un po’ da loro e da loro amici: ma per carità ci muovessimo presto!
[...] il viaggio Venezia Roma fu eterno. Era ottobre, avevo delle grosse calze di seta blu fatte a ferri, ma a Roma si scoppiava di caldo..,. Ci vollero circa 30 ore per arrivarci. A orvieto ci fu un gran bombardamento e quasi tutti lasciarono il treno, ma noi fummo più fatalisti. Poco prima di Roma il treno era quasi fermo ma ci mese mezz’ora per fermarsi. Tutti nel corridoio scorsero nel binario un lunghissimo treno che sostava, tutto chiuso. Solo con pochi finestrini con sbarre in alto.
Un signore vicino a noi disse: chi c’è di lì dentro? Forse dei prigionieri, forse dei soldati? Sui predellini delle SS armatissime e a guardia, finalmente un macchinista disse: “sono l’ebbrei romani, che i tedeschi l’hanno presi” ci siamo guardati, solo guardati noi 5, col terrore nel cuore. Mi sono fatta consegnare dal papà un libretto di salmi in ebraico che aveva portato con sé e me lo sono messo sotto la camicetta. Avrebbero perquisito gli uomini all’uscita? passammo in una stazione nel più completo caos (..), poi coi cappotti sul braccio, la mamma con due cappelli in testa, uno sull’altro, ci incamminammo verso via Flaminia, la nonna vide un prete, gli si avvicinò e gli disse: “ci aiuti, ci dica cosa hanno fatto agli ebrei qui?” ma lui disorientato, disse: “Non so niente, non so niente” [...] camminammo svelte la nonna, la mamma, Roby. Ed io e papà restò indentro col facchino, cercavo di scrutare le finestre di zia Alba, ma non capivo bene quali fossero, c’erano, non c’erano?” arrivati al numero entrammo e il portiere, Domenico, ci apostrofò: “Dove vanno?” “Da mia sorella al secondo piano” “Ma non c’è nessuno, non si può entrare” “Come non c’è nessuno?!” “Ma… sa … veramente ieri mattina sono stati prelevati dai tedeschi.” Al piano di sopra la contessa, amica della zia, era sul pianerottolo. Alla mamma che cercava spiegazioni gridò “Se ne vada, per carità, se ne vada! I tedeschi cercano gli ebrei, scappate!” ritornammo sui nostri passi, arrivata dal papà col facchino gli dissi: “Papà non ci sono, li hanno presi tutti, dove andiamo?”.
Il facchino ci accompagnò in una pensione in Piazza di Spagna, in camera la mamma sul letto con gli occhi sbarrati diceva: “Alba, Mario, Giorgio” e non piangeva. Nella cappelliera si erano rotti i thermos di olio, le cibarie erano tutte da gettare [...]
Il giorno dopo la mamma con la forza della disperazione cercò un asilo per noi figli. Trovò al telefono un’amica della zia, non ebrea, ci invitò a casa sua [...] Pensando e ripensando alle conoscenze romane, mamme telefonò a una sua amica dei tempi della sua giovinezza, con la quale aveva mantenuto rapporti epistolari. attraverso di lei trovammo alloggio alla Pro Infantia. Un’istituzione per l’infanzia abbandonata o per figli di tubercolotici ì. La direttrice, la “mammina” ci accolse, raccomandando alla mamma di non venire mai a trovarci, io avrei fatto la maestra ai ragazzi, Roby doveva figurare molto più giovane, scolaro di V elementare mentre aveva appena finita terza ginnasio. Fu rapato, messo cl grembiule blu a righe bianche, compagno di ragazzini romani, in camerata a dormire con loro.
Nove mesi rimanemmo a vivere lì dentro [...] da una trentina che erano il primo giorno alla fine erano circa 150 [...] ho imparato per prima cosa le orazioni quotidiane da far recitare in classe e prima di andare a letto. ho condotto il rosario, sono stata a messa ogni domenica… ho vissuto in un mondo irreale e ho dovuto imparare tante cose di cui non mi ero mai occupata, ma soprattutto avevo paura. Ogni campanello, ogni chiamata in casa della direttrice, ogni incontro erano tutte occasioni di grande paura, il nemico era lì fuori dalle mura, poteva anche essere dentro. [...]
Con mia cugina pensavamo sempre ai nostri “morosi”. Chissà se li avremmo più visti?!
Ho raccolto il pane che avanzavamo dal pasto. Lo mettevo in una borsa, con quella andavo a messa la domenica mattina e la lasciavo vicino a una colonna, ne trovavo una uguale che prendevo su, la mia veniva raccolta dalla mamma, dal papà o dalla nonna che ci mettevano in un altro banco durante la messa per vederci. Nella mia borsa c’era il pane vecchio e una lettera ai miei, nell’altra c’erano lettere [...]
Testimonianza tratta in parte dal suo diario inedito, contemporaneo ai fatti narrati, e in parte da un suo scritto successivo, non datato, sempre inedito.