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RITORNO A CASA DI UNA DEPORTATA


Errina Fornaro Di Veroli
Roma
Sono stata liberata a maggio del 1945, in un campo vicino a Ravensbruck dove mi avevano mandato per continuare gli esperimenti. Sono tornata a casa il 1° settembre 1945. Sul treno un prete mi aveva dato 5 mila lire per rifarmi una vita. Scesa alla stazione Tiburtina, era di sabato, mi sono attaccata ai cancelli del Verano e mi sono rivolta verso la tomba di mia madre, che sta nella parte alta del cimitero e le ho promesso che il giorno dopo sarei andata da lei. Poi ho preso una tradotta. Gli ho detto mi porti al ghetto e quello m’ha risposto: “al ghetto signo’? e che c’annate a fa’: l’ebrei l’hanno ammazzati tutti. Ma io c’avevo Stella che m’aspettava a casa e quindi gli ho detto “ci voglio andare lo stesso”. Arrivata a via dei Falegnami, ho visto una ebrea che tornava da fare la spesa: sono scesa di corsa ed ho imboccato via della Reginella. A metà della via mi sono fermata; mi era presa paura. Allora si è affacciata quella che se chiamava Fiore; me guarda e me fa: “Rina, ma sei Rina? Cori Rina va a casa che c’hai marito e figli che t’aspetteno”. A quel punto ho cominciato a correre. Lei intanto ha cominciato a strillare: “corete, corete è ritornata Rina d’Agesilao”. In quel momento tutta piazza m’è venuta incontro. Fiore, che stava a stenne un bucato pe na partoriente fece cadè tutti i panni pe terra; e pensa’ che erano stati sotto cenere tutta la notte… Io ho avuto un po’ paura perché tutti me chiedevano tanto che arrivati davanti al bar Toto’ me so fermata. Allora zia Camilla, la padrona, me guarda e me fa: “Rina, ma sei te? Cori Rina va a casa che c’hai Stella che t’aspetta sulle scale”. Ho fatto dal bar Toto’ a Santa Maria del Pianto 10 in un attimo. Ho strillato come una matta: “Stella, Stella, so tornata; mamma è tornata”. Arrivata al portone, Stella stava sulle scale, con una bambola in mano. Io la guardo e je dico: “Stella, Stella so mamma, nun me riconosci?” “Mamma? Io c’avevo na madre sola e se la so presa i tedeschi” “Ma no Stella, guarda so io”. E allora l’ho presa in braccio, pesavo 35 kg, l’ho portata in camera da letto e l’ho messa davanti allo specchio. Gli ho preso il dito e l’ho posato sulla mia bocca, poi sul naso, poi sugli occhi e gli ho detto “Stella nun guarda’ che mamma nun c’ha più capelli, ma io, guarda semo uguali” A quel punto s’è convinta e ha cominciato a strilla “è tornata mi madre, pure io c’ho na madre”. Quando è venuto mio marito, la sera, nun ce credeva; “Rina, Rina, sei tornata; si Agesila’ so io”. Lui mi ha messo la mano sulla spalla e m’ha detto: “credevo d’avette persa e invece t’ho ritrovata”. Il giorno dopo sono andata a Ostia a prende Roberto co’ Moro; pè quanto me li so abbracciati e baciati momenti li soffoco. Lì a Ostia c’era Mirella, la figlia della famiglia che era partita con me. Aspettava pure lei la madre, ma non è tornata… So tornate dopo un po’ le sorelle: Marisa e Giuditta. Ma la madre, co Vilma e Sergio no. E il padre è morto alle Fosse co’ mi fratello Lello. Riprendere la vita non è stato semplice. Perché da Auschwitz non se ne esce.
Oggi so nonna, bisnonna e c’avemo pure i gemelli in casa. Ma da che so tornata io figli non ne ho più fatti…
Il libro della Shoah italiana
Materiale bibliografico, Monografia

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