Errina Fornaro nacque a Roma il 14 febbraio 1916. Si sposò nell’ottobre 1934 con Agesilao Di Veroli, urtista (cioè venditore ambulante di souvenir), e dal matrimonio nacquero quattro figli: Giovanni, Rosa, Giacomo e Stella. Abitavano in via Santa Maria Del Pianto n. 10 insieme a un’altra famiglia, i Di Porto. La sera del 23 marzo 1944 Silvio Virghi, un poliziotto in pensione offeso a una gamba, molto conosciuto nel quartiere, si presentò alla porta delle famiglie Di Veroli e Di Porto accompagnato da due tedeschi, ed entrò con le chiavi di casa perché il capofamiglia Di Porto Giacomo era stato fermato per strada da Enrica Di Porto, spia ebrea detta “Erichetta l’incipriata” per il fatto che si truccava pesantemente. I tedeschi presero Giacomo e lo portarono a via Tasso dove lo picchiarono rubandogli le chiavi di casa per poter andare ad arrestare tutto il resto della famiglia. Giacomo morì alle fosse Ardeatine il giorno dopo. Errina venne arrestata con tutta la famiglia Di Porto; al momento dell’arresto, riuscì a nascondere i figli e il marito. Errina fu portata al carcere di Regina Coeli e poi trasferita al campo di transito di Fossoli, dove il 16 maggio 1944 fu deportata ad Auschwitz. Qui fu selezionata per il blocco degli esperimenti e fu sterilizzata. Trasferita al campo di Ravensbruck, Errina fu liberata dall’esercito russo il 4 maggio 1945, fece ritorno a Roma a settembre dello stesso anno e riprese a vivere con la sua famiglia. “Riprendere la vita non è stato semplice. Perché da Auschwitz non se ne esce”, dice.
LA STORIA Errina non fu l’unica a raccontare di essere stata denunciata da Silvio Virghi o da altri delatori, tutti nel dopoguerra rimasti impuniti. Pochi subirono regolare processo, il caso più famoso è quello di Celeste Di Porto detta “La Pantera Nera”, una ragazza ebrea, molto conosciuta nel ghetto, che durante l’occupazione nazista fece numerose delazioni collaborando con i fascisti. Dopo la guerra Errina incontrò nuovamente il Virghi, ma non fu capace di dirgli niente. Come altri deportati, Errina non raccontò subito ciò che le era capitato. L’episodio che fece scaturire in lei il desiderio di testimoniare il suo dramma ciò che accadde una mattina del 1990 in via Ugo Ojetti a Roma. Le persone si svegliarono con le serrande dei negozi imbrattate di scritte antisemite. La paura di poter rivivere il dramma fu all’origine della sua decisione di testimoniare.