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LA GUERRA E LA CADUTA DEL FASCISMO NELLA RIFLESSIONE DI UN EBREO ROMANO


Lamberto Abbina
Roma
L’Italia entra in guerra
Ritornai in sede dopo circa un mese e ripresi la mia attività normale. A Settembre 1939 scoppia la guerra tra la Germania e l’Inghilterra. Il 10 Giugno 1940 l’Italia entra seriamente anche lei nel conflitto che già si era esteso a tutta l’Europa Occidentale. (…) La guerra aveva trovato il popolo italiano completamente impreparato sia spiritualmente che materialmente e tutti pensavano che la guerra sarebbe stata la fine del fascismo poiché era impossibile vincerla. Gli Italiani erano già stremati dalla guerra Italo-Etiopica (altro sbaglio del fascismo) di Spagna ecc.. e logicamente non pote- vano affrontare un conflitto immane con tranquillità e sereni- tà. In ogni modo noi Ebrei vivevamo sempre sul chi vive poiché ogni piccolo screzio che vi era nel fascismo sia internazional- mente che all’interno del partito era sempre una stretta di vite per noi; la polizia lavorava molto efficacemente e parecchi ebrei erano andati al confino: il confino istituito dal governo non era altro che un concentramento in un dato paese il più sperduto possibile; i prigionieri erano liberi di girare il paese senza mai allontanarsene. Vi erano anche dei cattolici, confinati politici anche loro. Dopo il disastro della Grecia e la conseguente invasione tedesca nei Balcani e italiana nella costa Dalmata, in Italia il dominio tedesco viene accentuato, ma per fortuna tutto viene limitato ancora al campo militare con varie influenze nella vita civile ma molto limitate. (…). La guerra già in partenza, specialmente noi ebrei l’avevamo vista persa pero’ ad ogni bollettino di guerra che leggevamo ci confermava questa nostra convinzione ma il tragico era che mentre in noi alla luce dei fatti che si susseguivano questa convinzione diventava sempre di più certezza; dovevamo assistere ad una vera campagna di vittoria frutto dei giornali che imbevevano il popolo il quale credeva ciecamente a quel- lo che scrivevano e naturalmente noi ebrei ci chiudevamo nel più stretto riserbo stando molto attenti a con chi si parlava e dove e in quale ambiente si parlava sia di guerra che di governo. Vi erano spie dappertutto e non pochi dei nostri cor- religionari per il solo fatto di essere sospettati di antifascismo furono mandati nei campi di concentramento.

La caduta del fascismo
Nel 1943 vi era stata l’invasione degli alleati in Sicilia e a Maggio-Giugno già era incominciata l’invasione della Calabria quando, il 25 Luglio 1943 venne il grande avveni- mento che doveva coincidere con i postumi del nostro calvario di circa un anno di sofferenze: ossia la caduta del Gabinetto di Mussolini.
Erano circa le 11 di sera del 25 Luglio avevamo terminato di cenare quando sentimmo una bussata alla porta e un gran baccano per strada. Un nostro coinquilino ( che era fascista) viene a dirmi che in quel momento la radio aveva annun- ciato che il Re aveva accettato le dimissioni di Mussolini da capo del Governo e che al suo posto aveva chiamato S. E. Badoglio, a tale annuncio non esultai affatto ma mi sentii come una doccia gelata dietro le spalle come un presentimen- to di guai maggiori.
Intanto il popolo esultava chiamando con i più svariati epiteti Mussolini e manifestava la sua gioia nei modi più svariati. Andammo a letto a notte molto inoltrata senza poter dormire. Finalmente il giorno dopo finii per strada molto per tempo perché volevo vedere lo svolgimento degli avvenimenti, ed infatti in tutta Roma il popolo seguitava ad esultare senza capire che non si rovescia un regime di 20 anni di oppressio- ne senza poter spargere una sola goccia di sangue ma soltan- to una congiura di palazzo.
Tutti aspettavano la fine della guerra invece un proclama del Maresciallo Badoglio ci dice che la guerra continua: le leggi razziali non furono abrogate, pero’ praticamente sotto questo governo non furono messe in atto. Andiamo avanti fino a Settembre in una situazione bellica disastrosa, i bombarda- menti si susseguono ai bombardamenti, tremendo fu quello del quartiere di S.Lorenzo. Arriviamo all’ 8 Settembre e come un fulmine a ciel sereno, il Maresciallo Badoglio annuncia all’Italia e al mondo l’ armistizio facendo capire che a chiunque avesse osato attaccare l’Italia si sarebbe risposto con fermezza. In altre parole era la guerra con la Germania in condizioni molto pre- carie dato che in Italia vi erano già parecchie divisioni tedesche e praticamente noi eravamo già un territorio occupato e non si vedeva il modo come queste truppe ci avrebbero abbandonato. Il giorno 9 s’incominciarono a sentire le prime cannonate nella città pero’ nessuno si rendeva conto da dove venissero e contro chi erano tirate. I negozi rimanevano sempre chiusi i giornali non uscivano la radio non funzionava, il fermento per le stra- de era grandissimo, si diceva che si stava combattendo alla Cecchignola contro i Tedeschi e passavano continuamente per le strade gruppi di cittadini che esortavano la cittadinanza alla resistenza ed invitavano ad andare a combattere a S.Paolo.
Del governo non si sapeva più nulla, e ogni tanto si diceva che arrivavano gli alleati per aiutare la cittadinanza alla resistenza. Siamo andati avanti cosi’ per due giorni sentendo le cannona- te che esplodevano vicino casa nostra finché il terzo giorno un annunciatore tedesco alla radio invitava la cittadinanza a rima- nere tranquilla e a collaborare con i tedeschi per il bene di Roma. Roma, con tutta la truppa che c’ era aveva capitolato, fu evidente il tradimento perpetrato dai fascisti; la città era completamente controllata dai tedeschi (…)
Noi Ebrei eravamo tutti preoccupatissimi poiché forti dell’esperienza di circa 4 anni di guerra sapevamo cosa queste belve umane avevano fatto negli altri paesi e tremavamo per quello che certamente avrebbero fatto anche a noi. Io già nel mese di Settembre avevo cercato di mettere in salvo le cose più preziose che avevo e le murai a magazzino dove credevo di stare tranquillo tanto più che avevo arianizzato l’azienda fin dal principio delle leggi razziali. Molte volte ebbi dei colloqui con zio Mario, Renato e Aurelio per cercare qualche via d’uscita per salvarsi ma tutto era vano: nel Sud non si poteva andare dato che non funzionava più la ferrovia, d’altra parte Napoli era stata liberata e le armate alleate si spingevano verso Nord e tutti pensavano che sarebbe stata questione di qualche settimana. La sera quando veniva nonno Peppe a trovarci portava sempre una nota di ottimismo. Io ero sempre più preoccupato qualche sera si andava con mamma dai Sigg. Pericoli, nostri coinquilini a sentire Radio Londra: a noi la P. S. aveva sequestrato la radio fin dal 40; sentivamo le ultime notizie ma si ritornava a casa sempre più sfiduciati e anzi i Pericoli ci spronavano ad andare via di casa.
Diario di Lamberto Abbina 1938-1944
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