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L'ARRESTO E IL RITORNO


Brani tratti dalla testimonianza rilasciata nell’ambito del progetto: Consiglio regionale del Piemonte A.N.E.D. -Sezione di Torino Istituto di Storia della Facoltà di Magistero dell’Università di Torino
Laura Mateucci, Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea ‘Giorgio Agosti’, Giuliana Fiorentino Tedeschi
Torino
  18 Giugno 1982
L’arresto
Io sono stata presa su denuncia dei fascisti, a quell’epoca lei sa, no, forse lei non lo sa perché è così giovane, a quell’epoca i fascisti ci denunciavano ai tedeschi e avevano un premio, cinquemila lire per ogni persona denunciata, questa è una cosa che va messa in rilievo perché è una vergogna nazionale e troppo poco gli italiani sanno di questo. E io vivevo a Torino nascosta in una casa di amici; in quel periodo mia suocera era in clinica perché aveva subito un’operazione e mio marito andava a trovarla la sera tardi, nel buio, e in una di queste visite è stato seguito da un fascista che ci ha denunciato alle SS, per cui la notte dell’8 marzo, alle 5 di mattina, si sono presentati a questa casa le SS e hanno trovato me e mio marito e le due bambine che allora avevano due anni e mezzo e undici mesi.
Hanno preso solo me e mio marito perché avevamo i documenti falsi, intimando alla donna di servizio, che era una fedelissima di mia suocera, era in casa come persona di famiglia da 30 anni, intimando, dicevo, a questa donna di non muoversi di casa. Allora noi siamo stati portati subito alle Nuove; ho poi saputo attraverso la suora che dirigeva il reparto delle politiche, che era una persona molto fidata e anche ha fatto molto per le politiche, a quell’epoca, ho saputo poi che questa donna, che si chiamava Annetta Barale, assieme alle bambine sono scappate in casa di amici, hanno fatto perdere le tracce cambiando spesso il loro domicilio e poi finalmente sono state ricoverate in un convento. Questo per quanto riguarda la mia famiglia, famiglia mia; invece vorrei anche aggiungere un particolare della famiglia di mia madre, di mio padre, e di mio fratello, che vivevano a Milano e hanno … prima c’è stato un episodio: mio fratello e mio marito, prima di essere naturalmente presi dai tedeschi, avevano tentato di fuggire in Svizzera, ma sono stati rimessi fuori alla frontiera con il pericolo gravissimo di capitare in mano ai tedeschi o ai fascisti. Invece per fortuna sono capitati in mano ai Carabinieri, insomma hanno potuto ritornare a casa [...].

Torniamo allora all’argomento della nostra cattura: in quel momento mia suocera era alla Sanatrix, in clinica, dove aveva subìto un’operazione, e i tedeschi sono andati a prenderla alla Sanatrix stessa e dopo pochi giorni dalla nostra cattura mia suocera è arrivata anche lei alle Nuove. Qui bisogna fare una parentesi importantissima che è risultata … è una cosa grave che è emersa dal processo che ha subìto il criminale nazista che si occupava della cattura degli ebrei in Italia. Mia suocera è stata arrestata in clinica, quindi ammalata e donna d’età, mentre le leggi che aveva stipulato la Repubblica Sociale con la Germania garantivano che non sarebbero stati arrestati e deportati le persone anziane e i malati; quindi questa era una fragrante violazione di questo diritto, tanto è vero che il criminale nazista che si occupava, che era a capo della deportazione degli ebrei in Italia e che si chiamava Friedrich Robert Bosshammer, fu processato in Germania nel febbraio del 1972 e su testimonianza di diversi italiani fu possibile condannarlo all’ergastolo; questa è una parentesi importante perché poca gente sa questa cosa.

Il ritorno
Uscita da questa terribile esperienza mi sembrava di poter sopportare tutto. E soprattutto quando sono tornata, quello che io trovavo … mi pareva che la gente vivesse preoccupata da problemi assolutamente inutili, non so, io ridevo perché mia madre mi diceva: “Ma figurati che mi hanno rubato tutti i coperchi delle pentole!”. Io trovavo che era una cosa così assurda, sproporzionata! Naturalmente non glielo dicevo, ma questo … mia madre era una donna semplice, però questo io lo notavo in tutti, cioè tutti erano preoccupati di cose che per me non avevano assolutamente nessun valore. Non so, oppure mi dicevano: “Oh, non crederai mica che abbiate avuto la fame solo voi! perché anche noi …”. Insomma, “anche noi”, in Italia però mangiavano il pane bianco che potevano trovare in campagna … mi rendevo conto che non realizzavano. Cioè era difficile, lo ammetto, era impossibile capire in che mondo noi avevamo vissuto; ma poi la gente non voleva sapere niente, non chiedevano niente, nemmeno i parenti, perché loro dicevano: “Sì anche noi, qui, abbiamo passato momenti terribili, adesso basta, adesso basta, è finito, non parliamone più”. Cioè la gente non si voleva immedesimare nella nostra tragedia, ecco, questo l’ho notato molte volte. Non so se altre persone le abbiano potuto parlare di questo. Poi quando io sono tornata non sapevo nulla di cosa era successo a mio marito che era in un altro campo; e allora attraverso la Croce Rossa e attraverso delle ricerche di persone che erano tornate dai campi maschili cercavo di arrivare a qualche notizia … Ma quando sono tornata, appunto perché mi sono trovata in casa di parenti con le mie bambine, ma in un mondo dove mio marito non c’era, io mi sentivo un’estranea rispetto a tutti, persino le bambine non mi sembravano più mie, benché la bambina più grande si ricordasse di me e mi avesse detto: “Mamma, quando ti ho vista arrivare, prima mi sembravi una bella signora, ma adesso sei proprio la mia mamma”. E l’altra invece, la più piccola che era stata salvata da questa donna fidatissima, si aggrappava alla sottana di Annetta e diceva: “Quella lì non la voglio, quella lì non la voglio”. E infatti c’è voluto molto tempo per conquistare la fiducia della mia seconda bambina, io non l’ho mai forzata, lei non veniva a dormire con me in principio, poi a poco a poco si è affezionata; ma questo per dire che era tutto un mondo artificiale, non ci si ritrovava più.

D. - Era tutto da ricostruire …

R. - Tutto da ricostruire, proprio così.

[...]

Dunque, io direi così: io tornata dal campo sono stata zitta molto, un po’ la gente non mi chiedeva, non voleva sapere, un po’ non mi andava di raccontare, non sapevo il perché, fatto sta che non parlavo, ero contenta di stare zitta; poi soprattutto devo dire, sai, i ragazzi, i giovani, hanno incominciato loro a stimolarmi, a farmi domande, e allora mi sono sentita proprio il dovere di raccontare, era diverso, insomma, ero stimolata e avevo uno scopo; e allora ho parlato, ma sempre con i giovani, con i ragazzi, con le scolaresche, e sempre cercando non di fare una conferenza, per modo di dire, ma sempre tenendo ben d’occhio che fossero loro a pormi delle domande e io a rispondere, e poi dalle risposte, naturalmente, veniva il completamento della vicenda e allora io stesa ho capito che mi scioglievo e potevo parlarne, perché ero aiutata dai ragazzi a farlo, mai dagli adulti, guarda che è curioso ‘sto fatto, forse perché io insegnavo e mi trovavo quindi in un ambiente di ragazzi, ma con i ragazzi mi sono sempre trovata molto a parlare, meno con gli adulti. D. - Meno con gli adulti, perché? R. - Non so perché loro, effettivamente, loro avevano meno interesse a sapere. Forse perché, non so io, forse si sentivano anche una generazione non dico colpevole, ma una generazione che era stata acquiescente con il potere, così. Forse era quello, non so, loro forse non se ne rendevano conto.

[...]

Io sono tornata e dicevo: “Assolutamente qua bisogna reagire in questo mondo di rovine, di rovine anche materiali, vedo intorno a me tutte le cose crollate”, nessuno più diceva le cose che aveva, tutti avevano perso … “Qua bisogna darsi da fare, ricostruire”. Per me era un bisogno di ricostruzione, un bisogno di trovare … di rimettere tutto in piedi il mondo intero, quello io lo sentivo moltissimo. Un po’ perché poi non avevo assolutamente mezzi, dovevo lavorare come una disperata per fare quadrare … il bilancio non quadrava mai, mi mancavano sempre un po’ di soldi per arrivare alla fine del mese, quindi mi davo da fare per forza, perché dovevo vivere e mantenere le figlie. Ma c’era il bisogno di fare rinascere il mondo, non era solo la mia vita personale che doveva … sistemarsi, ma era perché mi pareva che tutti dovessero fare come me, che tutti dovessero darsi da fare a rimettere a posto il mondo. Poi questo ha provocato una grande delusione perché il mondo non era mai a posto, capisci? E via via che il tempo passava, tanto meno spiritualmente il mondo si rimetteva a posto; e allora venivano le delusioni perché allora era successa una guerra, tante vittime, perché si ritornasse da capo, a rifare lo stesso cammino, che i problemi non fossero risolti. Questo mi pareva veramente un risultato negativo, da tutto quello che avevo sperato.
Intervista a Giuliana Fiorentino Tedeschi
Materiale bibliografico, digitali

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