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L'ARRESTO, LA LIBERAZIONE E IL RITORNO


Brani tratti dalla testimonianza rilasciata nell’ambito del progetto: Consiglio regionale del Piemonte A.N.E.D. - Sezione di Torino Istituto di Storia della Facoltà di Magistero dell’Università di Torino
Selma Levi
Torino
  29 Giugno 1983
L’arresto
[…] incomincio dal ‘43, che sono stata presa, ero giovanissima, mentre mangiavamo tutti quanti, sono entrati coi mitra e ci hanno portati via, tutta la famiglia, cioè nelle carceri, non proprio lì, sono stata sei mesi in carcere a Pisa, poi ci hanno... una mattina molto presto, non so che data era di preciso, so che ci hanno messo dentro i vagoni, e ci hanno portati in Auschwitz […]
- sono del ‘24 e sono stata presa nel ‘43 [...]
I. - e lei viveva a Livorno...
T. - a Livorno con i miei genitori
I. - ecco, e con fratelli anche, e nonni...
T. - e già, e mia nonna che aveva 81 anni, anche quella la hanno presa e l’hanno portata via, e l’hanno ammazzata subito
I. - quanti eravate? padre, madre...
T. - due fratelli e io
I. - due fratelli, lei e la nonna, e la mamma
T. - bé anche mia mamma, si capisce
I. - ecco, anche sua mamma
T. - sì, sì, tutta la famiglia, siamo stati 6 mesi in carcere e poi ci hanno portati in Auschwitz.
I. - e voi, lì a Livorno... la sua famiglia di cosa si occupava...
T. - mia madre faceva il commercio, avevano il banco, e si lavorava così, mio padre no, era marmista, e lavorava per conto suo.
I. - ho capito... e voi avete vissuto un clima, diciamo così, di oppressione, prima di essere stati arrestati, cioè...
T. - no, eravamo tranquilli.
I. - eravate tranquilli.
T. - sì, perché non ce l’avevano con noi, dopo hanno cominciato ad avercela con gli ebrei, allora avevamo paura, tutto lì, e siamo stati sfollati alle Guestinie, vicino a Livorno, non nelle baracche, perché cominciavano i bombardamenti, sa, avevamo paura, e fu un ragazzo di 17, 18 anni che ci ha portati via, ha scoperto che eravamo ebrei e ci è venuto a prendere...
I. - ah, voi eravate in queste baracche quindi, non eravate in casa, eravate sfollati. T. - no, eravamo già sfollati.
I. - ecco, e qualcuno ha fatto la spia praticamente
T. - sì, un ragazzo, giovane, così.
I. - un fascista?
T. - naturale...perché allora prendevano, non so, 20 mila lire a testa [sic] , a quei tempi lì, no, difatti ha preso noi che eravamo in cinque.
I. - ecco, e chi è che è venuto ad arrestarvi, i tedeschi o i fascisti?
T. - no, dunque, sono stati i fascisti, veramente, con i mitra e loro ci hanno consegnato ai tedeschi

La liberazione e il ritorno
2e poi sono arrivati dei momenti che mi dicevo: “Signore se è ora che mi devi prendere, portami via, perché ormai non ce la faccio più a continuare questa vita” e più pregavo che mi portasse via, e più mi dava la forza di vivere... tutto lì... e allora bon, abbiamo detto basta... e... poi tutto in una volta, questo non so gli anni che sarà stato, quasi la fine della guerra, abbiamo visto gran bombardamenti, fuochi, che venivano russi, tedeschi, inglesi, ma, c’era tutto un macello, non si capiva più niente e ci siamo trovate dentro un ospedale tutte e tre, sempre tutte e tre, perché la minima volta che una andava via... cercavamo di stare sempre unite perché avevamo paura di perderci, e poi ci siamo trovate in un ospedale, eravamo libere, perché eravamo sotto i russi, perché i russi ci hanno liberate a noi, poi a Berlino, ci hanno portate a Berlino, a Berlino ho avuto la fortuna di incontrare mio fratello
T. - esatto
I. - e l’ha incontrato per caso?
T. - così, perché ci portavano allo smistamento, no, per portarci... come una specie... dove c’è tutti i soldati italiani, no, per rimandarli in patria, difatti ci hanno detto di andare lì a questo smistamento per vedere se ci potevano prendere anche a noi, perché eravamo ormai persi, qui non c’era più nessuno che ci comandava, camminavano, mangiavamo, già incominciavamo a stare mele, perché a furia di trovare roba, mangiare, mangiare, lo stomaco che incominciava a dilatarsi, insomma era una cosa pietosa, però era tanta l’ingordigia di mangiare, quelle fame arretrata... camminavamo lì, vedo un ragazzino tutto lì, magro, anche quello tutto stracciato, tutto pelato, naturalmente pensavamo che anche lui era un deportato, perché chi poteva essere? E continuava a guardare, a guardare, e il cuore sentivo che mi batteva forte forte e dicevo: “ma Signore, ma cos’è qui, Dio mio, ma questo è mio fratello” continuavo a dire “ma questo è mio fratello” e c’era la Costanza no e fa: “Ma sei sicura? Sei sicura che è tuo fratello?” “sì” “aspetta che lo chiamo, oh, come si chiama?” oh non mi ricordavo più neanche come si chiamava, poi ho cominciato a chiamare: “Mario, Mario”. Questo poverino mi guarda e fa: “mia sorella, mia sorella, Selma, Selma “ E’ stato tutto un grido, e buttando le braccia e ritrovarsi insieme, guardi è una cosa che non me lo potrò mai più dimenticare, mai più, mai più..., e l’ho guardato e ho detto “come mai” e dice: “eh, siamo appena arrivati anche noi” dice, e ho domandato subito: “e la mamma, e Elio, l’altro fratello, e mio padre?” niente lui era libero da solo e non sapeva niente di nessuno.
[…]
io e mio fratello siamo tornati a Livorno, per vedere se c’era ancora in piedi la casa, dico: “dove andiamo adesso, cosa facciamo?” e invece la mia casa era bombardata, allora non avevo più neanche quella, poi invece quando scendevamo vicino alla Stazione, dei conoscenti ci hanno visti, se ne sono accorti che eravamo noi e mi fa: “ma tu non sei la figlia di Rosa?”, Rosa sarebbe mia madre, “sì, sì, e questo è Elio” “ma non sai che c’é tua madre” “ma va, dico, come può essere che ci sia mia madre” “sì, dico, è già due giorni che è arrivata, prima di te, con un altro fratello tuo” e siamo stati la famiglia più fortunata di questo mondo, che siamo tornati tutti e quattro, meno che mio padre. E’ così loro ci hanno messo subito nella comunità israelitica, ci hanno dato una casa, cioè una casa che tutt’ora è a Livorno... e abbiamo ricominciato a rivivere.
[…]
a mio marito ne sono morti tre della sua famiglia, sempre in campo di concentramento, io infatti sono andata da lui perché lui voleva vedermi che ero appena arrivata dal campo di concentramento, se conoscevo suo fratello, sua sorella.
I. - ah, vi siete conosciuti così.
T. - eh tramite queste cose qua ci siamo conosciuti e poi...
I. - anche lui era un deportato razziale?
T. - no, lui non è stato deportato, solo la famiglia, sono due fratelli e due sorelle che non sono più tornati, che uno sarebbe... [...]
I. - quindi vi siete conosciuti su questa cosa qui
T. - su questa cosa, perché come sono arrivata a Milano, perché dovevo andare lì all’ANED apposta in via Calcutta, lì, Bacutta, e lì perché dovevano riunirci tutti i deportati per iscrivere tutto no, allora ci davano un mensile, ci davano le coperte, ci davano da mangiare, i pacchi viveri, e fu lì che ho conosciuto mio marito e ci siamo sposati e la vita è ricominciata a rivivere, che speravo meglio, per dire la verità e invece disgrazie ne sono venute sempre di più, e eccomi qua, sono ancora viva, e ho appena compiuto 59 anni e sto aspettando la pensione!

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