Erano ebrei che venivano dalla Germania, dall’Austria, dalla Polonia, ed erano
in fuga dalle leggi razziali di Hitler. Uno di loro viveva in Italia da più di vent’anni.
L’unico ebreo italiano veniva da Gorizia. Erano padri e madri con i loro figli,
mariti e mogli, sorelle e fratelli. L’Italia aveva fama di non essere antisemita,
malgrado il fascismo, e comunque da lì si poteva sperare di proseguire per la
Palestina o per paesi più lontani. Portavano con loro i risparmi e i preziosi
trasportabili. Alcuni misero su attività commerciali in Italia.
Poi venne il 1938. In un paese in cui il tradizionale antigiudaismo cattolico non
era riuscito a diventare antisemitismo politico, in un paese col tasso di
matrimoni misti più alto in Europa, le leggi razziali furono emanate “a freddo”,
con il solo scopo, secondo molti storici, di soddisfare un bisogno vitale del
totalitarismo: avere un nemico interno. Eppure, malgrado la scarsa popolarità,
funzionarono molto bene, grazie allo zelo dei funzionari dello Stato. I tedeschi,
al loro arrivo, trovarono tutto pronto.
Così gli ebrei sfuggiti alle reti delle leggi razziali del nord Europa si trovarono
impigliati in quelle italiane. Espropriati di tutto, caddero in miseria, furono
internati. Alle preoccupazioni e all’angoscia si aggiungevano le sofferenze
fisiche. Le loro condizioni di salute, per alcuni già malandate alla partenza, in
assenza di cure adeguate peggiorarono. Ebbero contro anche le vicende della
politica internazionale: la nave su cui alcuni di loro erano saliti, diretta
ufficialmente in Thailandia, ma in realtà per la Palestina, fu bloccata in Libia per
l’entrata in guerra dell’Italia, e loro furono poi fatti tornare.
Alcuni, quando capirono di essere diventati un pericolo mortale per i propri figli,
li allontanarono. Altri non ce la fecero o non ne ebbero occasione. Furono
aiutati da italiani, ma caddero anche preda di estorsori e di delatori.
Le sconfitte dei tedeschi, l’armistizio e gli spostamenti del fronte, per quanto
desiderati, non potevano rasserenare il loro animo e allentare la disperazione.
Temevano che il pericolo per loro sarebbe aumentato, invece di diminuire.
Di campo in campo, di questura in questura, sempre sotto la custodia di
carabinieri e militi della guardia repubblicana, in diciotto si ritrovarono nel
carcere di Forlì nei mesi estivi del 1944.
Furono fucilati dalle SS tedesche in settembre. Gli uomini nella notte tra il 5 e il
6, le donne il 17, Gaddo il 25. Forlì fu liberata il 9 novembre.
Vittime strage di Forlì
una città - n.295 settembre 2023