Settimia aveva 22 anni il 16 ottobre 1943, e viveva con la famiglia in via della Reginella 2. Il padre commerciava in libri, la madre era maestra alla scuola ebraica. Ad Auschwitz sua madre e una delle due sorelle arrestate con lei, quest’ultima con la bambina in braccio, furono subito mandate al gas. Settimia e un’altra sorella, morta poi nel campo, furono destinate ai lavori forzati, poi Settimia fu trasferita al terribile Blocco 10, quello degli esperimenti. Con l’evacuazione di Auschwitz, a partire dal dicembre 1944, Settimia fu inviata, nelle marce della morte, a Bergen Belsen, dove sopravvisse fino alla liberazione del campo. Il brano che leggerete racconta il suo rientro a Roma. Da allora, convinta di essere stata salvata per testimoniare, Settimia Spizzichino non ha mai smesso di raccontare, nelle scuole, in ogni circostanza pubblica. È diventata una delle voci più importanti della memoria. A lei è stato intitolato un ponte sul Tevere e un francobollo del 2021, in occasione del centenario della sua nascita. La sua storia è stata narrata in due film, Memoria, del 1997 e La razzia, del 2018, ambedue per la regia di Ruggero Gabbai. È morta nel 2000, a Roma.Settimia Spizzichino fu l’unica donna a tornare fra gli ebrei razziati il 16 ottobre a Roma. Su 1022 deportati, 700 erano donne, 200 bambini. In maggioranza quel giorno fra gli arrestati, le donne furono anche nel campo la maggioranza di quanti furono subito assassinati. Avevano i bambini in braccio o attaccati alle gonne e con loro andarono al gas. Nessuna donna che avesse appena perso i figli avrebbe potuto essere atta al lavoro, non importa quanto giovane e forte, dicevano i nazisti. Settimia non aveva bambini, era giovane e si salvò, ma a un prezzo terribile perché fu destinata ai terribili esperimenti che i medici nazisti compivano sul corpo delle donne. Il destino delle donne fu nei campi peggiore di quello degli uomini e delle 700 donne deportate il 16 ottobre solo Settimia tornò.